I testi e le informazioni sui quartieri di Regalbuto sono stati parzialmente tratti dal libro "Quartieri Storici di Regalbuto" realizzato dagli alunni della scuola elementare statale G.F. Ingrassia di Regalbuto. A loro, insiema ai docenti (Ins. Francesca Bonsignore, Ins. Maria Truglio, Ins. Giuseppe Vignera, Ins. Rosaria Virzi') e al direttore didattico Francesco Miranda va il ringraziamento dell'amministrazione comunale e della cittadinanza tutta.
U Carminu
Il quartiere si trova ad Est del paese ed è così denominato perchè vi di trova la chiesa dedicata alla Madonna del Carmelo, situata proprio dove si incontrano le vie Roma, Amaselo, Plebiscito, Cavour e Catania. La suddetta chiesa, ritenuta tra le più antiche e belle del paese, esisteva già nel 1400; in essa sono custodite pregiate tele del '700 e altari ìn marmo policromo, le statue della titolare e del gruppo dell'Annunciazione (statua che veniva portata in solenne processione ogni anno il 25 Marzo). Durante il periodo di quaresima, i fedeli, tutti i venerdì, trascorrevano intere giornate in chiesa digiunando e pregando; inoltre il "S. Sepolcro" che veniva allestito il giovedì santo faceva competizione con quello delle altre chiese perchè adornato in modo particolare con veli , nastrini, garofani bianchi... La chiesa è stata chiusa al culto intorno agli anni '70, soprattutto a causa dell'alluvione del 1972. La signora M. Scandurra racconta che giorno 15 Dicembre 1964 il fu sacerdote A. Cardaci, verso le 10,30, era salito sul cornicione interno della chiesa del Carmine per riparare i vetri delle finestre, accorgendosi che la scala di cui si era servito non era sistemata bene, diede un colpetto per appoggiarla meglio, ma così facendo il cornicione (pericolante) crollò e lui cadde sul pavimento: miracolo volle che la tunica facesse da paracadute attutendo la caduta e salvandogli la vita, anche se riportò diverse fratture e ammaccature che gli costarono una lunga degenza all'ospedale.
Via Roma e Acquamara
Procedendo dalla chiesa del Carmine verso piazza "Vittorio Veneto" si attraversa la via Roma anticamente chiamata "Gibbiuni" perchè c'era una "gebbia" (bevaio molto grande), che si trovava precisamente sotto la scalinata che porta in piazza "24 Maggio" dove sorge l'edificio sede del Circolo Didattico della Scuola Elementare Statale di Regalbuto; di fronte alla fontane c'è la Vìlla Comunale abbellita ed arricchita da aiuole, fiori, alberi, parco-gioco e panchine, dove la gente, nelle serate estive, va a sedersi per godere della frescura degli alberi: al centro di un'aiuola è posto il busto dell'illustre concittadino G. F. Ingrassia. Nella zona, a sinistra, c'è la strada che porta al quartiere "Cruci" via S. Rocco denominata così perchè si pensa che vi si sia fermato per riposarsi nel suo pellegrinare proprio S. Rocco; mentre sotto c'è la zona denominata "Acquamara", perchè anticamente vi era una sorgente di acqua amara utilizzata dai cittadini per i vari usi; nella zona si trova, anche, il campo sportivo comunale, dove si disputano alcuna partite di calcio di prima e seconda categoria. La zona circostante versa in pessime condizioni igieniche.
Sant'antuninu
La zona è stata chiamata così perchè vi si trovava la chiesa di S. Antonino con l'annesso convento. La chiesa fu sede di una confraternita laicale; successivamente venne acquistata dalle monache che la abbellirono con pregevoli tele e splendidi stucchi e la arricchirono di preziosi altari in marmo mischio e signorili suppellettili. Nella chiesa, aperta al culto, vi sì svolgevano bellissime funzioni religiose, ricordate ancora oggi dagli anziani, i quali ricordano che essa cadde in assoluto abbandono già negli anni trenta e che i bambini, uscendo dalla scuola, vi entravano, da una finestra, per giocare salendo per la scaletta che portava all'organo. Ormai diroccata, fu dimora di una strana coppia: "A gna Filici e u zzu Vìcienzi" che vivevano di elemosina; luì a tempo perso faceva lo spaccalegna. I bambini li prendevano in giro perchè lei era molto alta, magra, brutta e sdentata e lui basso, vagabondo e teneva in mano un bastone col quale allontanava i monelli che li ingiuriavano. Dormivano nella sacrestia su vecchi materassi e lì allevavano un maiale che poi uccidevano e cucinavano (sempre nella sacrestia) col fuoco ottenuto bruciando vecchia legna. Il convento fino al 1917 era disabitato, ma dal 1918 fu dimora delle suore Francescane dell'Ordine di Malta e gestito dalla signorina Concetta Romano con le mansioni di segretaria economa e maestra d'asilo delle orfanelle. Le suore erano state contattate dalla suddetta signorina e da don Giuseppe Campione, all'epoca sindaco di Regalbuto; dopo due anni le suore dovettero fuggire perchè minacciate dai massoni, i quali volevano assaltare il collegio che, infatti, subito dopo, fu chiuso. Le orfanelle e la direttrice furono costrette a nascondersi per tre mesi in una casa di proprietà di don G. Campione, sita accanto alla chiesa di S. Lucia. Nel frattempo lo stesso non si era arreso e si mise alla ricerca di altre suore che gestissero il collegio: le trovò nell'ordine delle Immacolatine: inizialmente arrivò solo la madre generale per constatare la situazione, la quale fu accolta dalla direttrice e dalle orfanelle che per l'occasione si fecero trovare lì per dare l'impressione che tutto era a posto e che non era successo nulla. Durante la notte la madre superiora, fece uno strano sogno, che raccontò alla direttrice (le sue figlie Marianna e Teresa Castiglione ce lo tramandano): "Nel sogno si trovava vicino al portone d'ingresso e aprendolo vide molti animali feroci (paragonati ai Massoni), che volevano sbranarla, lei si trovò al braccio una fune e gliela tirò; gli animali così caddero in ginocchio ai piedi della reverenda madre. A questo punto la direttrice scoppiò in lacrime perchè comprese che quello era stato un sogno rivelatore e dovette confessare la verità. La madre generale apprezzò la sincerità della signorina e anzichè andar via pensò che il Signore l'aveva voluta lì a combattere contro i prepotenti: andò a prendere le Immacolatine e ritornò al collegio". Qui rimasero solo per poco tempo perchè il convento era cadente e don G. Campione le fece trasferire nell'Istituto Femminile "S. Giuseppe", fondato da lui nel 1925. Accanto a questo istituto si trova la chiesa di Maria SS. Della Grazia, che sorge nella parte più elevata del paese e al centro dell'antico quartiere cristiano: "Supra i Fo`" (via Plebiscito). La chiesa, in stile barocco, è di forma rettangolare, ha l'ingresso principale in uno dei lati minori, mentre sul lato opposto un grande arco immette nell'abside dell'altare maggiore. La chiesa, chiusa negli anni '70, versa in precarie condizioni sia per i danni metereologici subiti che per quelli inferti alle strutture ad opera degli uomini. Nei suoi fondaci, un tempo antiche carceri di Regalbuto, oggi si trova ubicata la Biblioteca Comunale "Citelli-Morgana".
Tribbona
A1 numero civico 115 di Via G. F. Ingrassia, abitazione del fu dottore Domenico Prestifilippi, sindaco di Regalbuto dal 15 Giugno 1952 al 29 Marzo 1956, che esercitò la professione di medico condotto fino alla fine degli anni '70, inizia la zona denominata "u Balatatu, così detta perchè la strada era pavimentata con grandi pietre di cava levigate chiamate appunto" balate" e messe in modo tale da formare un'unica lastra. Lungo la via, a sinistra e precisamente al numero 131, sulla facciata della casa appartenente alla famiglia Zozzo, vi è affissa una lapide con su scritto:
Il popolo di Regalbuto ricorda ai posteri che nel due e tre agosto 1862 questa casa ospitava Giuseppe Garibaldi, ribel indomito allora che Roma anelando correva al sacrificio di Aspromonte
Procedendo si nota una lunga ringhiera dalla quale lo sguardo può spaziare fino a vedere Centuripe, Catenanuova, l'Etna; mentre il terreno sottostante è a strapiombo tanto è vero che quando due persone avevano delle discordie solevano dirsi: "t'abbiu da Ciciulìa". Andando avanti si arriva "o Ponti", chiamato così perchè la strada presenta un avvallamento dove sotto c'era anticamente il centro raccolta delle acque provenienti dalla zona a destra a "Serra" (via Alpi). Gli anziani dicono che in profondità ci fosse una galleria che conduceva a1 Collegio di Maria.
A Serra
La "Serra" è il punto più alto del quartiere "Tribona", zona dove le pecore venivano "serrate" cioè rinchiuse in ovili recintati rusticamente con pietre serrate tra loro. La zona si chiama così perchè ha la forma di una montagna che tende a chiudersi e a rimpicciolirsi man mano che si va verso l'alto. Il luogo si prestava a rifugio per le persone che volevano sfuggire alla legge perchè vi si trovavano delle buche profonde o dei covi. Anticamente a "Serra" apparteneva ad una baronessa. Subito dopo "u progettare per essere un ospedale e che poi finì per ospitare l'attuale Unita' Sanitaria Locale (ex INAM). Anticamente, invece, vi era una casetta dove si dice che vi abitasse la signora Carmela, la quale, recitando delle particolari "preghiere" riusciva a calmare il mal di pancia dei bambini; le mamme portavano da lei, per tre sere di seguito, i figlioletti e questa massaggiava il pancino dicendo:
Chi hai Teresina ca cianci? mia: Haiu un dulurittu, haiu un virmittu ghiu dui, Ca mi pizzica lu cori. ghiu novi E tu pirchì nun ci dicievi della croce sulla pancia! L'arazioni (orazione) mia? E iu magistru cca sapia? cori
La stessa donna era esperta nel fare passare il mal di testa attribuito all'occhio pesante della gente. "U maluocchiu": preparava un piatto con l'acqua e lo appoggiava sul capo di chi soffriva, vi buttava tre gocce dì olio con il dito dicendo: "Ucchiatura, scarpisatura, lassa libira sta criatura" (per tre volte) e alla fine concludeva il "rito" buttandovi un pugno dì sale. Sempre in zona, nel periodo della mietitura, venivano dai paesi viciniori i "mietitura", che in attesa di lavorare cantavano. Un'anziana racconta che durante i bombardamenti, nei momenti di tregua, gli abitanti della zona (gli sfollati), quando era possibile, salivano dalla campagna, dove si erano rifugiati per fare il pane. In uno di questi giorni, mentre aspettavano di sfornare il pane, una granata cadde proprio lì uccidendo i presenti: "U furnu da zza cuncetta" (via V Cardaci). Nell'ultima parte del quartiere ancora oggi sono presenti i resti de "Stazzuna": luoghi dove si lavorava la terracotta per la produzione di tegole, mattoni, tabbi, mastazzola, brocche, giare, piatti per il pane, fornacelle, scifitieddi (recipienti usati per dar da mangiare ad alcuni animali).
U Saracinu
Il quartiere "Saracinu" è situata nella parte nord-ovest del paese ed è uno dei quartieri più vasti di Regalbuto. Si chiama così perchè fu il primo insediamento arabo di Regalbuto dopo lo distruzione di Rahal butahi. Esso è riuscito a conservare l'impianto urbanistico che gli diedero i soroceni nonostante le distruzioni subite durante la primo guerra mondiale. E' rimasto, appunto, un paesaggio urbano molto ricco di stradine, vicoli ciechi, improvvise curve o gomito, cortiletti, scalinate, tutto un tessuto urbano che riporto od un modo di vivere molto diverso dall'attuale, ma che appartiene ancora al nostro retaggio. In questo quartiere c'era un grande pozzo da cui gli abitanti attingevano l'acqua con brocche, prima dell'arrivo dell'acqua potabile, chiamato "u puzzu do Saracinu". Nelle abitazioni è possibile trovare dei "'forni a pietra" dove le famiglie del quartiere infornavano il pane e i dolci tradizionali.
Supra i fossi
Una delle zone più antiche e caratteristiche dei paese è il quartiere cristiano "Sopra le Fosse" situato nella zona più alta del paese da cui è possibile godere un meraviglioso panorama: il lago Pozzillo e il centro storico a sinistra e la maestosa mole dell'Etna a destra. Il quartiere, ormai quasi disabitato, ha lo stessa struttura del quartiere Saraceno dove si intersecano stradine e vicoli ciechi. Cortiletti e scalinate conferiscono al rione un aspetto singolare. Testimonianza del passato rimangono le stalle dove si conservano ancora gli attrezzi dell'agricoltura, attività tipica della popolazione del luogo.
U Chianu
Anticamente nella zona sorgeva il convento di S. Agostino e la relativa chiesa. Essa era a tre navate, ricca di memorie storiche e adorna di pregevoli stucchi. A causa della sua infelice posi zione, veniva continuamente invasa dalle acque defluenti dalla sovrastante collina di S. Lucia che causavano tale umidità da minacciare, di anno in anno, le condizioni statiche del sacro edificio a tal punto che se ne prevedeva imminente il crollo. Vane furono le opere eseguite nel tempo per ovviare a questo inconveniente dato che il pericolo andava sempre crescendo al punto da fare temere per l'incolumità dei fedeli. In data 8 Maggio 1927 le Autorità locali e la Direzione Generale del Fondo per il Culto dichiararono chiusa al culto la chiesa destinandola alla demolizìone che avvenne nel 1928. A1 suo posto sorse il monumento ai Caduti in guerra: un comitato di concittadini di New York con a capo Luigi Campione inoltrò a1 consiglio comunale una richiesta per la costruzione di un monumento, in onore dei caduti in guerra. L'anno seguente inviarono la somma di lire 13.500 per la sua realizzazione. Inoltre, nello spazio circostante, fu costruita una delle piazze principali del paese, che inizialmente venne denominata "Piazza delle Palme", poichè circondata da palme, che ogni anno, nei giorni precedenti la seconda Domenica di Passione, vengono sfrondate: i rami più teneri, lavorati, intrecciati in maniera artistica da gente esperta e acquistati dalle persone, vengono portati in chiesa la Domenica delle Palme per farli benedire. In seguito prese il nome di "Piazza Vittorio Veneto" in memoria della battaglia vinta dagli italiani contro gli austriaci. Intorno al 1928 fu rifatto il prospetto laterale del convento per dare una sede adeguata alla "Casa del Fascio" e al cine-teatro "Urania". Questo cinema poteva contenere circa 350 persone, era suddiviso in due settori: sala e tribuna ed era gestito da privati. Vi si proiettavano, all'inizio, film in bianco e nero e senza sonoro con le scritte sullo schermo, dopo gli anni cinquanta cominciarono a proiettare film a colori e con il sonoro; nell'intervallo tra il primo ed il secondo tempo del film girava per la sala un signore che vendeva "bomboloni" e "calia". Nel locale, durante il Carnevale, si usava organìzzare delle serate danzanti allietate, a volte, dalla presenza di cantanti famosi del tempo: Nilla Pizzi, Lola Falana, Nini Rosso, Rocki Roberts... Fu usato come teatro da diverse compagnie: vennero rappresentate alcune commedie di Nino Martoglio. Il cinema è stato chiuso ed abbandonato intorno al 1978 - 80 in seguito ai fatti dell'incendio del cinema "Statuto" di Torino dove morirono molte persone a causa delle mancate uscite di sicurezza. A quell'epoca il cinema "Urania" veniva paragonato al cinema "Ambasciatore" di Catania. La Casa del Fascio, subito dopo la caduta del regime fascista, ospitò gli uffici della Pretura, attualmente vi si trovano l'ufficio tecnico comunale e quello dei vigili urbani. Nel piano terra dell'edificio, dopo la prima guerra mondiale, nel 1922, è sorta l'Associazione Nazionale Combattenti di cui potevano essere soci solo coloro che avevano combattuto durante la suddetta guerra, ìn seguìto vi potevano accedere anche i reduci del secondo conflitto mondiale. Vìsitando la sala di lettura si notano due foto ricordo che ritraggono il generale Luigi Cadorna e il generale Armando Diaz e due pergamene inquadrate. Una attesta quanto segue: "In occasione del quarantesimo annuale della vittoria della guerra 1915-1918 che ha avuto proprio a Treviso la sua conclusione vittoriosa, il Consiglio Comunale di Treviso, all'unanimità, delibera di conferire a tutti i combattenti d'Italia della guerra 1915-1918 1a cittadinanza onoraria di Treviso. (copia conforme all'originale della delibera del consiglio Comunale - Treviso - 24/05/1959 Sindaco Luigi Chiereghini)". Estratto della deliberazione del Consiglio Comunale di Treviso 1 Novembre 1958 - Treviso - Che, coi difensori del Grappa, del Montello e del Piave, divise ansie, tormenti, gloria prima partecipe del trionfo che doveva concludere in Vittoria l'Epopea del nostro primo Risorgimento celebrandosi la quarantennale ricorrenza, offre idealmente la sua cittadinanza onoraria a tutti i caduti e ai Superstiti della grande guerra e ne affida il segno alla gloriosa "Associazione Nazionale dei Combattenti e Reduci". L'altra pergamena attesta che gli emigrati siciliani a Buenos Aires hanno fondato un'omonima società. Oggi l'accesso alla società è consentito a tutti gli anziani che vi si riuniscono per giocare a carte, per leggere e commentare le notizie dei quotidiani. Ogni anno nella prima decade di Settembre (sabato e domenica), in occasione della festa della Patrona del paese: la Madonna del Soccorso, in Piazza Vittorio Veneto, si svolgano i festeggiamenti religiosi e pagani. Il primo giorno, nelle ore pomeridiane, a suon di banda si svolge la cosiddetta "Papera", una tradizione che si perde nel tempo: si sistema una fune in alto alle due estremità della via G. F. Ingrassia e in mezzo, volta per volta, si legano brocche di terracotta tenera contenenti galline, conigli colombe, sabbia, crusca, acqua, ecc.... Alcuni giovani, su cavalli vistosamente bardati con pennacchi e drappi, si portano sotto queste brocche rompendole e liberandone il contenuto. Immediatamente si formano delle squadre di ragazzi che gareggiano per afferrare la pelle di un coniglio sistemata al posto dell'animale messo in palio e così aggiudicarsi il premio. La domenica, in prima serata, c'è la processione della Madonna culminante con i fuochi d'artificio; a tarda sera cabarettisti, cantanti e gruppi musicali allietano i cittadini.
U Cursu
La via principale del paese "U Cursu" è stata dedicata all'illustre concittadino Giovanni Filippo Ingrassia, nato nel 1510 e morto nel 1580 a settanta anni per una malattia polmo nare. Nato da famiglia povera, non potendo studiare a casa fino a tarda sera, per non sprecare l'olio dei lumi che serviva per illuminare la sua abitazione, si recava a studiare sotto i lampioni delle strade. Conseguì la laurea in medicina approfondendo gli studi sulla anatomia moderna e, in particolare, fece ricerche relative all'orecchio. Il busto dell'illustre medico, in un primo tempo, fu collocato in piazza Marconi, adiacente a piazza della Repubblica, in seguìto fu sistemato nella villa comunale. Lungo il corso si snodano i palazzi più antichi del paese: Palazzo Gerardi (1700) e `adiacente casa La Manna (distrutta in seguito ai bombardamenti del '45 che danneggiarono anche il prospetto del palazzo Gerardi dal lato che si affaccia in piazza della Repubblica, ricostruito poi con i fondi del piano Marshal), Palazzo Compagnini in stile liberty siciliano (1921) e Palazzo Falcone in stile rinascimentale (costruito nel 1606, ancor prima della chiesa Madre , abitato da sempre dalla nobile famiglia Falcone: nel prospetto principale si nota lo stemma nobiliare: L`attuale proprietaria signorina Gianna Falcone ci dice che, probabilmente, un tempo al posto del palazzo c'era una chiesa poichè sua madre, quando sposina andò ad abitarvi, trovò dei paramenti sacri. Anticamente la via G. F. Ingrassìa era ricca dì chiese, alcune esistono ancora oggi (chiesa S. Maria della Croce, Collegio di Maria e chiesa annessa), di altre ne resta solo il ricordo nella memoria delle persone più anziane che ci raccontano: dove ora sorge il palazzo Compagnini c'era la chiesa di S. Francesco di Paola, mentre nei locali dei negozi Santangelo e Costa esisteva l'Abbazia (S. Maria della Concezione). La prima chiesa (S. Francesco) si trovava all'altezza del numero 19 di via G. F. Ingrassia, ricordata dalla via omonima; essa, costituita da tre navate, era di antica erezione e aveva l'ingresso situato nell'antistante piazzetta. Demolita all'incirca nel 1810 fu ceduta al demanio, che a sua volta l'ha venduta a privati per costruire l'attuale palazzo Compagnini: accanto all'ingresso rimase a ricordarla, fin sul finire degli anni '50 una edicola sacra che in seguito venne murata. La chiesa di S. Maria della Concezione (Abbazia) fu fondata con le ricchezze di Anna Giulia Garagozzo che chiese al Sommo Pontefice Urbano ottavo la bolla per poterla erigere e dedicarla alla Madre Vergine della Concezione. Nel tempo l'Abbazia acquistò un immenso potere e ciò causò la sua rovina poichè entrò in contrasto con i sacerdoti della chiesa Madre. La controversia si protrasse per molto tempo fino alla chiusura della stessa che avvenne nel 1927. Essa si presentava ad un'unica navata e non superava i dieci metri in profondità; era ricca di pregiati suppellettili, di paramenti sacri ricamati in oro e di altri preziosi oggetti che furono requisiti dai discendenti di donna Giulia, prima di vendere la chiesa ai privati. Oggi, di fronte all'ex Abbazia sorge il Collegio di Maria (ex casa dei Gesuiti) dove è stata collocata, nell'edicola dell'altare maggiore, la statua dell'Assunta donata dagli eredi della Garagozzo. Le suddette chiese erano collegate attraverso un lungo sotterraneo con la chiesa di S. Francesco di Paola. La chiesa di S. Maria della croce fu elevata nel 1527 per suffragare la parrocchia di S. Basilio (chiesa Madre), le decorazioni interne furono ultimate nel 1805, mentre l'attuale oratorio fu costruito circa 50 anni fa: oggi in esso vi è stata approntata una cappella per potervi svolgere le funzioni religiose giornaliere nel periodo invernale. Nell'interno della chiesa si trovano pregiate tele, che danneggiate durante la guerra, sono state recentemente restaurate . Nel periodo pasquale parte da questo luogo sacro la suggestiva processione del Venerdì Santo: alcune donne vestite da Immacolatine conducono sulle spalle la bellissima statua dell'Addolorata fino in chiesa Madre, da dove poi, insieme alla bara del Cristo Morto, si snoda una delle più caratteristiche e antiche processioni del paese accompagnata da "u Lamientu".
A Chiazza
Costituisce il centro storico del paese ed è considerata tra le più grandi della nostra provincia (Enna). Durante il periodo della monarchia si chiamava piazza del Re, in onore del re; quando cadde la monarchia e si costituì la Repubblica Italiana (Referendum del 2 Giugno 1946), essa venne denominata Piazza della Repubblica. Annualmente vi si svolgono tutte le più importanti manifestazioni: Natale, Carnevale, S. Giuseppe (i palieddi), S. Vìto (suggestiva processione dell'alloro, delle reliquie..).....; inoltre vi vengono allestiti palchi per le campagne elettorali o per ospitare cantanti e gruppi musicali durante le varie ricorrenze. Nel periodo festivo la gente, seduta a tavolino, viene allietata dalla musica dei vari piano bar fino a tarda sera. La piazza è arricchita dalla pre senza del Palazzo Municipale e dalla Chiesa Madre (S. Basilio).
I Quattru Vientira
La zona si trova alla fine di via Abate Guarneri e si estende fino all'attuale via Monsignore Piemonte. E' così denominata perchè esposta a tutti i venti della "Rosa". La parte antica più vicina alla Piazza della Repubblica, era abitata fin da tempi remoti, mentre il resto del quartiere era campagna seminata a frumento 0 occupata da uliveti e mandorleti. Ed è appunto in questa zona nuova che negli ultimi decenni si è sviluppata parte dell'edilizia cittadina, qui sorge, tra l'altro la scuola media locale intitolata al mostro illustre concittadino G. F. Ingrassia e, sempre in zona, esiste la "bottega" del vetraio signor Raisi. Nella parte alta, all'inizio del quartiere, esiste un pozzo molto caratteristico situato al centro di un cortile appartenente alle famiglie Tripi, Bonanno e Fisicaro, le quali consentivano ai vicini di attingervi l'acqua, prima dell'arrivo di quella potabile nelle case. Proprio da questo punto è possibile ammirare uno scorcio panoramico delle nostre alture: i monti della Gazzana, le colline di Dardari e Cannavata, "U strittu i purticeddi" e contrada Giufà, ove sorge l'antico convento di Sant'Antonio a proposito del quale si racconta una leggenda.
U Fumazzaru
Sotto i "quattru vientira" si trova la zona del "Fumazzaru" dove, anticamente, gli abitanti del quartiere andavano a gettare ì rifiuti casalinghi e a ripulire le "cascitte" dagli escrementi, dato che non esistevano servizi igienici nelle case, perchè il paese non era ancora servito da una rete idrica e fognante adeguata.
U Quartarieddu
Si trova sotto la piazza della Repubblica. Era chiamato così perchè era uno dei quartieri più piccoli del paese, abitato, per la maggior parte, da clan familiari molto numerosi intesi "Mammamia", "Agozzino", ecc... Da piazza della Repubblica si accede a questo quartiere attraverso una scalinata realizzata all'incirca nel 1930 per dare la possibilità di accedere agli abitanti del quartiere che erano stati penalizzati dalla precedente erezione di un bastione di contenimento per l'ampliamento della piazza. Accanto alla scalinata si trovava il laboratorio di uno stagnino ("u quadararu") che riparava e stagnava le vecchie "quadare" in rame ed altro pentolame. In seguito, dal locale del laboratorio, fu ricavato uno sbocco per il convogliamento delle "acque bianche" (piovane) della zona. A1 confine del quartiere all'incrocio della via S. Giuseppe e la via Vito Taverna si apriva uno slargo dove erano stati ricavati, sotto un terrapieno, alcuni ambienti costruiti in gesso, con soffitto a botte, alti quattro metri circa, dalla profondità di cinque metri e di tre metri di ampiezza, dove (si dice) venivano impiccati i condannati a morte. A testimonianza di questo fatto, un signore anziano del quartiere ci racconta che i suoi avi chiamavano questa zona: "Largo degli impiccati".
U Pisciazzaru
Poco distante della chiesa del Purgatorio, di fronte l'ingresso laterale della chiesa di San Basilio, abbiamo la zona denominata "Pisciazzaru" dove, anticamente, i cittadini andavano a fare i loro bisogni fisiologici; fu per questo motivo che l'allora parroco monsignor Piemonte, esasperato da questa indecorosa abitudine, si risolse a costruire, nell'arcone d'ingresso della chiesa Madre, un altare ed espose l'antica e pregevole effigie del Cristo in Croce (oggi situata nella sacrestia della chiesa di S. Basilio), per dissuadere i cittadini da questa indecorosa usanza. Successivamente furono eretti i "vespasiani", collocati nella piazzetta attigua alla chiesa del Purgatorio. In seguito, quando fu ristrutturata la strada che hanno adibito a posteggio, all'inizio degli anni '50, sono stati sostituiti dall'attuale orinatorio comunale "u pisciazzaru". A1 di sopra del "pisciazzaru", si trova la zona dove era eretto il vecchio carcere di Regalbuto, trasformato successivamente in case di civile abitazione dove, ancora oggi, possiamo notare le vecchie strutture murali del carcere (bastioni, muri di grande spessore, cantine ricavate dalle vecchie celle, ecc..). Lo sbocco di via Vittorio Emanuele, che immette in piazza della Repubblica e precisamente nel punto accanto al sagrato della chiesa di San Basilio, fu teatro di un fatto di sangue nel dopoguerra: In occasione di una manifestazione dei separatisti siciliani, seguaci di Finocchiaro Aprile, che tenevano uri assemblea nei locali che erano stati sede della banca istituita da don Giuseppe Campione (locali trasformati poi in cinema Piemonte), la parte avversa, guidata dal segretario provinciale del PC: Santo Milisenna, manifestava il suo dissenso a questa iniziativa. Di fronte all'ingresso del locale avvennero tumulti, vi furono degli spari, si ebbero alcuni feriti e lo stesso Santo Milisenna ne rimase vittima.
Santu Gnaziu
Il vecchio quartiere di S. Ignazio,evacuato dopo gli eventi franosi del 1973,da qui il triste appellativo di "Quartiere Fantasma",prima era una delle zone piu' popolate del paese. Oggi sono pochi gli abitanti rimasti sul luogo dopo aver ristrutturato la propria dimora; gli altri o sono emigrati o si sono trasferiti, dopo anni di odissea, nel nuovo quartiere di S. Ignazio (a nord-ovest del paese). Visitando il posto, ovunque ci sono macerie, case diroccate, muri pericolanti che testimoniano storia, arte, leggende e usi del passato: "astrichieddi", archi, tetti realizzati con canne sostenute da travi e ricoperti da tegole (i canali), stalle con volta a crociera, pollai, viuzze intricate per lo più chiuse da muretti per vietarne l'accesso. Qui esisteva il Monastero delle Benedettine (la via Badia Vecchia ne tramanda il ricordo). In fondo alla via Santa Caterina spicca la spettrale chiesa di S. Ignazio con le mura esterne ancora in piedi e l'interno completamente distrutto. Si narra che la chiesa sia stata eretta sul posto dove una donna appuntando un ago su una immagine del Santo, questa si sia messa a sanguinare e che la donna si sia messa a gridare miracolo, miracolo: l'immagine è custodita nella Chiesa Madre (S. Basilio).
L'uortu u Signuri
Fa parte del quartiere "Saracinu", e si trova sotto la via Garibaldi, scendendo verso il cimitero, al limite del "Chianu a forgia". E' così chiamato perchè vi sì trovano gli orti apparte nenti alla Chiesa Madre, a cui gli usufruttuari pagavano il censo. Al limite si trova la contrada "Nostra Donna", il cui nome deriva dall'antico "Nostra Domina". La bellezza del quartiere, oltre alla campagna ancora oggi presente e curata all'interno della zona, risiede nella tipologia di alcune abitazioni superstiti che ripetono l'impianto saraceno ( cortili interni con verde, terrazze alla siciliana( astrico ), ecc...).
U Priatoriu
Si trova lungo la via Vittorio Emanuele. La zona prende il nome dell'antica chiesa a ridosso del catino (abside) dell'altare maggiore della chiesa S. Basilio; dedicata a San Rocco, è più comunemente conosciuta come "Purgatorio", perchè è sempre stata, sin dalla sua erezione, la sede dell'antica confraternita delle anime sante del Purgatorio. Fu costruita nel '600 accanto alla chiesa Madre, di proprietà della più prestigiosa associazione, la congregazione delle anime sante del Purgatorio, è stata il centro del culto dei defunti e, sino all'unità d'Italia, di varie opere assistenziali. In seguito alla donazione del 1653 del sacerdote Don Vito Pomillitto, che qui si fece seppellire, la cappella ed i locali attigui ad essi pertinenti furono ristrutturati e restaurati negli anni a cavallo del diciassettesimo e diciottesimo secolo.
Sannu Minicu
Situato all'estremità occidentale dell'antico quartiere "Saraceno", cambiò nome quando vi fu eretto un convento dei domenicani con l'annessa chiesa dedicata al Santo, costruita nella seconda metà del 500 e così, da allora, la zona prese il nome di San Domenico. Il convento, dopo l'unità d'Italia, fu adibito a caserma dei carabinieri con annesse alcune celle per i carcerati, mentre una piccola ala è stata lasciata alla parrocchia come canonica. Accanto alla chiesa si affaccia il muro esterno dell'antico palazzo baronale Carchiolo che ha l'ingresso principale e l'ala nobiliare nella zona sottostante denominata oggi via Dante. Il muro di cinta del palazzo delimitava l'ala destinata alle masserizie ed agli opifici (ad esempio il mulino diventato proprietà della famiglia Sorbello). Il palazzo insiste precisamente nella zona denominata "u Quacinaru" perchè vi si trovava un opificio per la lavorazione della calce.
U Sirruni
Il quartiere si trova all'estremo nord del paese. E' chiamato così perchè anticamente vi si trovavano numerose "manniri" (ovili o serragli) dove si rinchiudevano (si serravano) gli animali. Prima che si costruissero le abitazioni il terreno era un vasto campo agricolo, che circondava il centro storico e su di esso erano piantati tanti ulivi. I contadini vi formavano le aie dove accostavano le spighe che poi venivano "pestate" dai cavalli; quando l'animale aveva terminato il lavoro, i contadini, con forconi, dividevano la paglia dal grano, la cui pulitura si completava con i crivelli e con l'azione del vento; infatti una caratteristica del luogo è la ventilazione continua. Il quartiere viene anche chiamato "Villaggio Unrra Casas" perchè vi furono costruite, nel dopoguerra, villette a schiera a cura delle truppe NATO, in seguito agli aiuti previsti per la ricostruzione dell'Europa con il piano MARSHALL. In questo villaggio abbiamo il primo esempio a Regalbuto di costruzione edilizia ad uso scolastico con l'edificazione della prima scuola materna del paese a conduzione laica, infatti i dipendenti erano pagati direttamente dalla NATO. Tutto il villaggio era costruito secondo una tipologia tipicamente anglosassone, ripetendo le strutture delle periferie popolari delle città inglesi o americane (giardini, villette, madonnine, ecc....).
San Giovanni
E' l'inizio del quartiere "Saraceno", è conosciuto anche con il nome di "Contrada San Giovanni", delimitato dalle due grandi arterie: via Palermo ( SS 121, antica via del Grano Della Sicilia) e via Garibaldi . La contrada ha preso il nome dopo la costruzione della Chiesa di San Giovanni, oggi chiamata Sant'Agostino, incardinata in San Giovanni dopo la distruzione dell'antica Chiesa di Sant'Agostino, sita nell'attuale Piazza Vittorio Veneto e annessa all'antico convento degli Agostiniani. Il signor Vincenzo Vignera ci racconta che sotto San Giovanni esisteva un antico "trappitu", un frantoio , un palmento e un mulino di proprietà del signor Vincenzo Piemonte ("u mulinu di Zuzza"). Il mulino si affacciava esattamente sulla Piazza Mazzini, altrimenti intesa" chiazza nova "perchè l'ultima realizzata sul finire del secolo diciannovesimo.
San Bastianu
Il quartiere si trova sopra l'edificio postale, sulla piazza oggi denominata Largo della Regione. E' stato chiamato così dopo l'erezione della chiesa dedicata al Santo omonimo che risale al 1500. "La chiesa era sede ed oratorio della confraternita di San Sebastiano che organizzava e controllava i riti processionali della settimana santa; essa fu protagonista del primo esempio di edilizia popolare a Regalbuto, infatti, nei terreni antistanti la chiesa, i procuratori di San Sebastiano fecero costruire degli alloggi per i membri meno abbienti della compagnia i quali potevano usufruirne vita natural durante, dietro il pagamento di un canone annuo. Le case ancor oggi appartengono alla chiesa, gli affittuari, membri della confraternita, pagano un canone irrisorio.
A proposito della chiesa dì San Sebastiano gli anziani del paese riferiscono un'antica convinzione: se un contadino aveva un asino ammalato e desiderava assicurargli la guarigione, doveva fargli fare il giro attorno alla chiesa per tre volte e avrebbe ottenuto la grazia.
A Turri
Dietro la chiesa di S. Sebastiano c'è la zona che anticamente era chiamata "a Turri", così detta perchè si trovava in posizione sopraelevata e tutti i contadini vi portavano "i regni" (covoni) per spagliare il frumento con i muli, il forcone e la pala di legno. In questa zona c'è una grande costruzione denominata un tempo "Opera San Pietro Apostolo", una volta adibita a collegio e scuola elementare parificata per ragazzi orfani o di famiglie bisognose. Dimessa da quasi un ventennio tale attività, l'edificio è servito per ospitare saltuariamente e temporaneamente gruppi e congregazioni cattoliche; attualmente vi si trova il centro direzionale della Banca di Credito Cooperativo La Riscossa fondata nel 1922 dal signor Dino Lo Giudice. I soci fondatori furono soprattutto alcuni giovani soldati regalbutesi che erano ritornati dalla prima guerra mondiale, e non avendo mezzi per iniziare un'attività lavorativa autonoma, fondarono la Banca per avere dei finanziamenti evitando di ricorrere a prestiti di denaro a tassi di interessi usurari. La Banca inizialmente prese il nome di Cassa Agraria, poi di Cassa Rurale ed Artigiana, ma è rimasta sempre una cooperativa.
A Cruci
Il quartiere si trova ad est del paese e si snoda lungo la via Amaselo (denominata così dall'originario nome del paese "Amaselom"), che collega Regalbuto ai vicini paese di Centuripe e di Catenanuova. Anticamente vi erano soltanto delle povere case sparse qua e là, poi, col tempo, al posto della cava di sabbia che vi si trovava, sono state costruite delle abitazioni più confortevoli e moderne. Col passare degli anni il traffico in via Amaselo, stretta, tortuosa e a doppio senso di circolazione, è diventato sempre più caotico anche perchè essa porta all'autostrada A 19 Palermo - Catania. Per ovviare a ciò, da circa vent' anni, il traffico è stato regolato con l'unico semaforo esistente nel paese; inoltre, per fare transitare i mezzi pesanti, all'entrata del paese, di recente, hanno costruito una galleria che collega la via Amaselo alla SS 121 da un lato e dall'altro alla SP Catenanuova - Regalbuto. Questo quartiere venne chiamato così perchè nella zona sovrastante, in contrada Ciappamonte, si erigeva la "chiesa del "Crocifisso" risalente al XIV secolo e, addirittura, si pensa sia stata la prima chiesa del paese. La suddetta chiesa era ad un'unica navata, aveva la facciata a forma di capanna con un portale in pietra arenaria sovrastato da una finestra guelfa. Sul sagrato antistante il portale c'era un vano adibito alla sepoltura dei poveri e dei monaci; sulla porta di sinistra, subito dopo l'ingresso, si trovava un bellissimo crocifisso ligneo, attualmente collocato nella sagrestia della chiesa Madre ed un sottoquadro oleografico del Cristo con la Veronica. La chiesa era ricca di stucchi di epoca barocca, costruita su una preesistente cappella probabilmente di epoca medievale. Questo antico luogo sacro fu abbandonato verso gli anni quaranta. L'edificio ha subito una serie di crolli, attualmente restano in piedi le mura perimetrali e l'arco del cappellone: pericolante è anche l'abside. Il pavimento non esiste più, in quanto saccheggiato da ladri in cerca di "tesori" e si è scoperto, anche, che sotto esiste interrato un altro ambiente più antico dell'edificio: la cripta, che conserva strutture trecentesche. Era detta la chiesa dei viandanti perchè i pellegrini di passaggio, quando vi giungevano, si riposavano, ricevendo ristoro dai monaci per poi riprendere il cammino. Anticamente in questa chiesa vi si svolgevano tutte le funzioni religiose a cui partecipavano numerosi i fedeli, recitando la preghiera dedicata, esclusivamente, al crocifisso che vi si trovava: "Santissimu crucifissu, siemu misi n'anzi a Vui ppi lu sangu ca spargistivu u facistivu ppi nui o corpu sacratissimu siti figghiu di Maria cancillati i ma piccati e salvati l'arma mia lu verbu sacciu e lu verbu vogghiu diri Signuri vinistuvu a la cruci ppi muriri ppi sarvari a nui piccaturi"
I Funtanazzi
La contrada si trova nella zona limitrofa a nord-est del paese. E' chiamata così perchè vi sorge un antico e monumentale bevaio costruito dai Borboni nel 1885. Sopra il bevaio c'era un cespuglio di rose selvatiche. I terreni di questa zona erano molto fertili e venivano coltivati soprattutto a grano, inoltre erano idonei per la coltura di mandorli, ulivi, peri, nespoli autunnali (ameddi). Vi si accedeva attraverso un viottolo strettissimo, tortuoso e scosceso tanto che vi poteva passare una persona o un animale per volta. Infatti si racconta che un signore, soprannominato "testa sirrata" cadde col proprio cavallo nel vallone sottostante al viottolo e morirono entrambi. Per usufruire di questo viottolo spesso succedevano molti contrasti che degeneravano in lite o addirittura in ruberie di "regni" ( fascine di frumento). Nel vallone anticamente si riversava la fognatura della zona vicina. Tutt'oggi sono presenti nella zona degli antichi pagliai dove i contadini si riparavano durante la notte o nelle ore calde della giornata per non lasciare incustoditi i raccolti: i pagliai avevano la forma di un cono ed erano fatti con canne e paglia intrecciate e attorno, nella parte esterna; erano fissati con delle grosse pietre.
Sutta a Rocca (o S. Calo')
La contrada si trova all'entrata del paese venendo dalla SS 121 ed è chiamata cosi perche' sottostante la rocca saracena sulle rovine della quale, si dice, fosse stata costruita la chiesa di S. Calogero, da cui prese il nome il monte: Questa, frequentata per la maggior parte dai "nobili" del paese, fu costruita come prima chiesa, infatti fu per molto tempo la "Chiesa Madre" del paese, dove sì recavano glì abitanti per assistere ai vari riti religiosi. Il terreno circostante veniva adibito a cimitero. Nel corso dei secoli l'edificio subì vari danneggiamenti (intemperie e terremoto 1695) e venne ricostruito e ristrutturato diverse volte. Durante la seconda guerra mondiale la chiesa è stata punto di avvistamento, presidio militare, milizia volontaria e sicurezza nazionale e nel corso delle incursioni aeree i cittadini venivano avvisati da questa postazione e, quindi, potevano ripararsi nei rifugi predisposti. Testimonianze raccontano che un austriaco, sposato con una donna regalbutese, fece la spia agli americani dicendo che sul monte c'erano i tedeschi: gli americani iniziarono i bombardamenti a Regalbuto cominciando proprio da quel monte "S. Calo'".
Contrada Gualtieri
Prima di arrivare nella Chiesa dei Cappuccini ci troviamo in Contrada Gualtieri. Questa zona era molto ricca di orti perchè servita dalle acque delle sorgenti che lì vi insistono e anche perchè venivano riutilizzate le acque reflue che lì sfociavano. Oggi questi orti sono quasi del tutto scomparsi perchè le acque sono state incanalate e anche quelle reflue sono quasi del tutto captate in un collettore, che aspetta di essere completato per portare quello che rimane dei canali di scalo al nuovo depuratore.
I Cappuccini
Questa contrada è localizzata al limite estremo del "quartiere Saracinu", fuori dal centro abitato. E' così denominata perchè vi si trova il convento dei Frati Cappuccini, oggi locali del vecchio macello, e la chiesa di San Francesco, annessa al convento dei frati. Una leggenda narra che la chiesa sorse dove San Vito, stanco del suo peregrinare per le terre di Sicilia, si fermò per riposare e si addormentò. Qui avvenne il famoso miracolo del bambino sbranato dai cani e risanato dal Santo ed è anche il luogo dove Egli fece scaturire una sorgente di acqua miracolosa. A memoria di questo fatto, all'interno della chiesa, dietro l'altre si trovava una statua del giovane Santo dormiente. Ancora oggi la processione dell'alloro inizia il suo percorso cittadino, durante le feste in agosto (8-9-10-11), dall'interno della chiesa dal popolo anche chiamata erroneamente di San Vito. Il convento funzionava anche come lazzaretto per gli ammalati, amministrato dai frati. Accanto alla chiesa sorgeva l'antico macello e, poi, a fianco di essa, "a cunsarìa" (la conceria) locale adibito alla prima conciatura delle pelli dei capi abbattuti nel vicino macello. L'odore della concia aleggiava nei dintorni.
Attualmente in zona è sorto un laboratorio per la lavorazione di marmi e di materiali affini, di proprietà dei fratelli Lanza, di origine adranita. Intervistando il signor Lo Valvo abbiamo appreso che nei dintorni, presso la casa anticamente abitata da certi suoi omonimi, esisteva un "nodo" da cui si dipartivano diverse strade sotterranee che collegavano quella zona con diversi punti del paese e con zone limitrofe: Chiesa del Collegio di Maria, Chiesa della Madonna delle Grazie, Chiesa di Santa Maria della Croce, Chiesa di San Basilio, Satalò, Sant'Antonio, San Calogero.
U Chianu a Forgia (o A Funtanella)
Questa contrada del quartiere Saraceno è delimitata dalle via F. Fichera e dalla via Ignazio D'Amico. Era così chiamato perchè vi si trovavano due vecchie "forge" dove i contadini andavano a ferrare i cavalli, gli asini e i muli, aggiustavano e costruivano tutti gli attrezzi per l'agricoltura, vomeri per aratri, zappe di ogni genere, ecc... Vi si trovava una delle prime fontanelle costruite dopo l'arrivo dell'acqua potabile nel paese ed era a servizio di tutto il quartiere. Era uno dei punti preferiti per i giochi dai bambini alla fine degli anni cinquanta per l'ampiezza del piano e perchè i ragazzi andavano a giocare tra i ruderi delle vecchie case situate dentro un grande orto sciamando fino al Vallone ("u Vadduni o Iettitu"), così chiamato perchè utilizzato come discarica. Un signore ci racconta che in questo quartiere, nel secolo scorso, un seminarista, di cui non ricorda il nome, fu trovato assieme alla moglie di un contadino e che, a causa dello scandalo, fu costretto ad abbandonare gli studi e ad emigrare negli Stati Uniti, dove però trovò fortuna. Il signor Maccarrone ci dice che a quei tempi nelle "forge" si lavorava con la fucina, in un angolo della stanza c'era la fornace con del carbone ed il fuoco veniva alimentato e ravvivato dall'aria emessa da un "mantice" che era a pedale.
Santa Lucia
Situato nella parte alta del vastissimo quartiere "Saraceno", oggi prende il nome di quartiere di S. Lucia dall'omonima chiesa eretta intorno al XV secolo: è una chiesa rurale costruita su un preesistente luogo di culto e che subì successivamente dei lavori di ripristino di cui i più importanti si ebbero negli anni 1713. La cappella si presenta ad un'unica navata con uri abside su cui si erge l'altare e la nicchia dove è posta la statua in legno della Santa. Recentemente nel 1985, la chiesa è stata ristrutturata e sono state riportate alla luce quattro piccole nicchie decorate a mosaico rappresentanti simboli religiosi (ostia, calice..). Ogni anno, il 13 Dicembre, era ed è tutt'ora luogo di pellegrinaggio di molti fedeli che, durante la funzione religiosa, recitano la seguente preghiera:
Cu li manu mii li siminaiu, cu li piedi li scarpisaiu. Squagghia cira, squagghia pidati, sempri Santa Lucia sia ludata.
Nel passato, la sera del 13 Dicembre tutti gli adolescenti e i ragazzi salivano al santuario dove i più grandi e gli anziani avevano preparato delle frasche a forma di cono con della legna minuta e canne legate con rami di oleastro. Accese delle torce i giovani più grandi e poi i più piccoli si lanciavano, gridando e correndo, lungo il pendio della strada che dal santuario va al centro abitato e, arrivati nell'attuale piazza Vittorio Veneto, giravano per tre volte intorno ad una catasta di legna, precedentemente preparata, e vi appiccavano il fuoco. A questo punto, i giovani riuniti in cerchio attorno al falò, si lanciavano tra le fiamme saltandole per dare prova di virilità e coraggio. Naturalmente più grande era la fiamma e il salto, più alta era la considerazione che il ragazzo acquistava tra i suoi coetanei e, soprattutto, tra le sue coetanee. Il quartiere presenta una struttura architettonica giudaica-saracena, infatti, in un primo tempo, questa zona fu assegnata esclusivamente agli ebrei e visitandola si ha l'impressione di entrare in un "ghetto" (zona chiusa). Le abitazioni, in un primo momento, presentavano al piano terra la stalla e al primo piano una stanza adibita a camera da letto e cucina; successivamente, man mano che la famiglia cresceva, non avendo altro spazio da utilizzare e non potendo uscire dalla zona loro assegnata, cominciarono a costruire in altezza: "a parti ppi ghiusu e ppi susu", ciò è reso più evidente dall'ingresso ad arco, unico per tanto tempo, che immetteva nella via principale del quartiere (via S. Lucia). Esso si snoda in vicoli stretti, tortuosi e chiusi; di recente, nella parte terminale della via S. Lucia, a destra, è stata costruita una lunga scalinata in cemento: un secondario sbocco del quartiere che immette nella via Palermo, SS 121. Tutta la zona è ritenuta ad altissimo rischio: in caso di cataclisma si rimarrebbe imprigionati poichè lo sbocco che immette in piazza Vittorio Veneto verrebbe facilmente ostruito dal sovrastante arco già abbastanza pericolante, precludendo così la via di scampo agli abitanti del posto. Nei tempi passati la zona si presentava come un lungo viale alberato dove, d'estate, la gente trovava refrigerio facendo lunghe passeggiate. Oggi, in ambo i lati della via Palermo, SS 121 che collega internamente Catania - Palermo, sorgono varie costruzioni: abitazioni, rifornimenti, pizzeria, bar-tabacchi, l'istituto tecnico commerciale "S. Citelli" e un supermercato. La zona viene denominata "Calvario" perchè in fondo a sinistra, su una colli netta, è posto un altare di una preesistente chiesa sconsacrata con tre croci e sul frontespizio dello stesso vi è raffigurato il volto di Cristo sofferente carico della croce, nell'ultima caduta. Questa immagine fu ristrutturata intorno agli anni '50 - '60 dal nostro concittadino Vito Costa emigrato poi in Francia e scomparso prematuramente; attualmente il luogo versa in uno stato pietoso. Ogni anno, il venerdì di Passione, dalla chiesa S. Maria la Croce, parte la Via Crucis che arriva proprio alle "Tre Croci". I fedeli intercalano il Rosario con preghiere dialettali:
Aduramu spissu, spissu, nostru Diu crucufissu ppi la so morti in cruci n'paradisu ni cunnuci". "Sarvi Rigina, matri addulurata, disiu raccumannata st'arma mia na razzia (grazia) iu vurria, ppi stu cori ingratu firutu e trapassatu cu na spata ca la vita mia aiu passatu cu tanti ran piccati ppi razzia priati a Vostru figghiu e a mia dati cunsigghiu finu all'ultima unia e comu a ma matruzza nun mi lassati, st'arma in cielu purtati in cielu gluriusu o Matri piatusa eternamenti sta razzia quannu arriva evviva la Matri addulurata evviva la ran Vergini Maria
Nelle vicinanze delle "Tre Croci", sempre sulla sinistra, si trova la tomba, a forma di croce, in ricordo di alcuni soldati canadesi caduti durante i1 II conflitto mondiale: la tomba, inizialmente, fu realizzata con pietra lavica, ma circa tredici anni fa (come ci racconta il signor Ferrarotto), durante un temporale estivo, un lampo caduto su di essa, la frantumò; successìvamente fu costruita con marmo bianco. Il luogo è meta turistica, soprattutto di stranieri americani.